L'Attesa

Un sonnacchioso pomeriggio estivo. Fuori, il sole splende caldissimo. La sua luce e il suo calore cercano inutilmente di penetrare attraverso le persiane e i tendoni di tela. Nella penombra del soggiorno, me ne sto sulla poltrona ad aspettare.

Molti minuti trascorrono senza lasciare in me alcuna traccia del loro passaggio. Dalla cucina proviene qualche sporadico rumore, attutito dal lungo corridoio che unisce e separa le due stanze. Nessun suono esterno invade il microcosmo della casa.

Passa un certo tempo.

Una serie improvvisa di suoni a me familiari mi fanno voltare verso il grande orologio a pendolo che sta nell'angolo vicino alla finestra. Anche quando l'ultima eco dei rintocchi si è dissolta nel silenzio della stanza, continuo a osservare ipnotizzato il tranquillo oscillare del pendolo. Ma alla fine, anche questa momentanea distrazione perde per me ogni interesse. Socchiudo gli occhi, annoiato, e mi giro di nuovo.

Trascorrono altri minuti.

In questa attesa il tempo sembra diluirsi nell'eternità, e gli istanti paiono accumularsi uno dopo l'altro all'infinito. Confusamente mi chiedo se sia possibile che l'attesa non abbia più fine, questa volta.

Ma no, ecco che finalmente sento i suoi inconfondibili passi al di là della porta. Poi quell'ambiguo silenzio che precede d'un attimo il tintinnio delle chiavi estratte dalla borsa. E infine il rassicurante rumore della serratura che scatta, ponendo fine alla mia attesa.

Lei entra, carica di borse e sacchetti, e richiude dietro di sé la porta con il piede. Mette giù la spesa e viene verso di me.

Io sollevo la testa, fingendomi assonnato; e con un tocco di teatralità faccio pure uno sbadiglio.

Ma quando lei arriva vicino a me, chinandosi sulla poltrona per salutarmi, ho già cominciato a fare le fusa.

Matteo Rossi