Molti minuti trascorrono senza lasciare in me alcuna traccia del loro passaggio. Dalla cucina proviene qualche sporadico rumore, attutito dal lungo corridoio che unisce e separa le due stanze. Nessun suono esterno invade il microcosmo della casa.
Passa un certo tempo.
Una serie improvvisa di suoni a me familiari mi fanno voltare verso il grande orologio a pendolo che sta nell'angolo vicino alla finestra. Anche quando l'ultima eco dei rintocchi si è dissolta nel silenzio della stanza, continuo a osservare ipnotizzato il tranquillo oscillare del pendolo. Ma alla fine, anche questa momentanea distrazione perde per me ogni interesse. Socchiudo gli occhi, annoiato, e mi giro di nuovo.
Trascorrono altri minuti.
In questa attesa il tempo sembra diluirsi nell'eternità, e gli istanti paiono accumularsi uno dopo l'altro all'infinito. Confusamente mi chiedo se sia possibile che l'attesa non abbia più fine, questa volta.
Ma no, ecco che finalmente sento i suoi inconfondibili passi al di là della porta. Poi quell'ambiguo silenzio che precede d'un attimo il tintinnio delle chiavi estratte dalla borsa. E infine il rassicurante rumore della serratura che scatta, ponendo fine alla mia attesa.
Lei entra, carica di borse e sacchetti, e richiude dietro di sé la porta con il piede. Mette giù la spesa e viene verso di me.
Io sollevo la testa, fingendomi assonnato; e con un tocco di teatralità faccio pure uno sbadiglio.
Ma quando lei arriva vicino a me, chinandosi sulla poltrona per salutarmi, ho già cominciato a fare le fusa.
Matteo Rossi