Molto tempo è passato e quasi mi ero costretto a dimenticare, a cancellare l'innaturale idea di un mondo differrente, creato dalla fantasia, dalla mente, dovevo essere razionale, pratico, la vita ti costringe sempre a guardare avanti e correre, correre, correre...
Ora tutto si ripresentava più vivido che mai, e mi costringeva a rinchiudermi in questo mio magnifico sogno, mi costringeva a lavorare senza sosta, ansioso e smaniante di entrare nel mondo che stavo pian piano creando. Giorno e notte, notte e giorno, quasi senza sosta, di giorno mi scervellavo su migliaia di righe di codice e di notte, quando finalmente non dovevo più preoccuparmi di occupare troppa memoria impedendo di lavorare allo sciame di matricole che affollavano il SiLab per preparare i loro stupidi programmini di T.A.M.C. o Sistemi, potevo finalmente dedicarmi alle prove, le prove del programma supremo.
Olialkon, così lo avevo chiamato, un nome altisonante e al tempo stesso carico di mistero, era la deformazione di `orichalcum' la mitica pietra del potere degli Atlantidi, sarebbe stata la Via, l'interfaccia, il passaggio tra il mondo del reale e il mio nuovo Universo.
Da anni se ne parlava, se ne scrivevano libri, quei libri di fantascienza che da adolescente divoravo come pane, il `cyberspazio' era ormai una parola che era sulla bocca di tutti gli addetti al settore e agli appassionati, nessuno però aveva ancora deciso come dovesse essere fatto... Questo era il mio scopo, il mio sogno più agogniato, creare un programma che sfruttasse le tecnologie della Virtual Reality per accedere al mondo delle reti di computer in modo interattivo, fisicamente interattivo.
Erano ormai due anni che lavoravo seriamente a questo progetto, ed anche GdA, il mio correlatore cominciava ormai a domandarsi che diavolo stessi facendo, mi vedeva passare ore e ore davanti al mio Xterm, se ne andava la sera e vedeva la luce dell'ufficio a me assegnato ancora accesa, due anni e di tesi nemmeno l'ombra. Ero riuscito a farmi dare un duplicato della chiave elettronica dell'Università ed oramai il custode si era abituato a non vedermi uscire alla sera.
Proprio di notte facevo il lavoro più grosso, era di notte che potevo sfruttare tutta la potenza di Sirio per le miriadi di routine grafiche del programma.
Ricordo ancora come eravamo eccitati quando Sirio arrivò in Sala Macchine, non sono mai riuscito a capire coma fosse riuscita Marta, la responsabile del SiLab, a far scucire all'Università i soldi per quella macchina. Quando arrivarono i camion per consegnare il piccolo Cray eravamo tutti pronti a dare una mano, a scaricarlo, a installarlo, e soprattutto a provarlo; sembravamo bambini che aprono i doni la Notte di Natale.
Era Sirio il mio tramite, la macchina che mi avrebbe permesso di trasferirmi nel cyberspazio, nel mondo che stavo costruendo, e lì finalmente non sarei stato più un numero di matricola, ma il God, il Creatore, il Cybermaster (non ricordo più dove ho sentito questo termine, forse lo ho letto su un fumetto, fatto sta che mi piacque così tanto da rimanermi impresso).
Attendevo questo momento da così tanto, avevo deciso di lasciarlo per ultimo, per assaporarlo fino in fondo, per provare quella sensazione di onnipotenza, ora che il programma di interfaccia `girava' perfettamente dovevo decidere come sarebbe stato il cyberspazio, come sarebbe apparso agli occhi di chi, dopo di me, avrebbe avuto accesso al Mio Universo.
Presi in mano il Cybercasco ed il mio persiero corse indietro a quella sera... Non avrei mai potuto comprare quel magnifico aggeggio e non sarei mai riuscito nemmeno a farlo acquistare all'Università ma quella sera accadde l'inaspettato...
Stavo tornando a casa dalla solita discoteca, probabilmente avevo bevuto anche qualche bicchiere di troppo, quando passando di fronte alla mia birreria preferita li vidi: una banda di skinheads si divertiva a fracassare i vetri di quella birreria e poi urlando e contando non so più quale canzone se ne andavano nella notte.
Ero rimasto come instupidito e solo in un secondo momento mi resi conto di aver fermato la macchina di fronte ad un portone; mi ripresi, scesi e mi avventurai nel buio in quello sfacelo: vetri rotti a terra, i tavoli ribaltati, le svastiche sui muri a coprire i graffiti caratteristici, il LaserJukeBox estirpato dal suo alloggiamento sul muro e scaraventato in un angolo e i terminali videotel che servivano per fare le ordinazioni con i video in frantumi.
Sentii uno strano odore e mi avventurai oltre, era li, il Virtuality, la macchina della Realtà Virtuale, uno dei giochi più in voga del momento era ormai un ammasso di fili aggrovigliati e plastica bruciata, poi lo vidi in un angolo, come miracolosamente scampato allo scempio, come dimenticato dal destino, il Casco Virtuale sembrava intatto.
Un attimo, un'idea che ti bazzica nella testa, paura, decisione, afferro il casco, do uno strattone ai fili e corro fuori, salgo in macchina, metto in moto e via...
Sgommo e poi penso: Idiota, così attiri l'attenzione, forse dovrei spegnere le luci, se qualcuno mi ha notato, se ha preso la targa, e poi ancora più idiota, almeno potevo metterlo nel bagagliaio... no avrei perso troppo tempo, ma se mi ferma ora una volante che gli racconto...
Nulla, non successe nulla, nessuno si accorse di niente, forse pensarono che quei vandali si fossero portati a casa un ricordino, o forse non pensarono proprio niente, tanto ci sono le assicurazioni per pagare... Ci misi più di un mese per costruire (o ricostruire) un'interfaccia.
Mi scossi, lo indossai e tutto divenne vero, forse fu una mia impressione, ma mi sembrò di vedere origami di neon azzurro dietro i miei occhi e poi il nulla, la forma triangolare del puntatore ed il parallelepipedo della finestra di controllo.
Era la creazione, proprio come era descritta nella Bibbia ed io mi sentivo un po' come un dio in un nuovo universo differente da tutto ciò che si era conosciuto prima, su questo universo avevo ogni potere e così pensai ``Che luce Sia'', e Luce fu, mentre le mie dita scorrevano veloci sulla tastiera che non vedevo, era diverso però non era come premere un interruttore e far fluire il fiume di elettroni verso il filamento di una lampadina, qui dovevo decidere anche di che colore era la luce, dovevo decidere che cosa fosse la luce stessa. E la mia scelta cadde su una luce diversa, non era la luce gialla e accecante del grande Sole e nemmeno quella bianca, timida e opaca dei vapori di neon percorsi da elettroni impazziti, era una luce calda e tenue, carica di un'aura di mistero, era come se fosse percorsa da venature azzurre, come se fosse riflessa dal lucido e freddo metallo ed esprimeva perfettamente la magia di quel luogo.
Persi la cognizione del tempo mentre andavo creando lo scenario di questo luogo fuori dal tempo e dallo spazio in una dimensione del tutto sconosiuta. Volevo che il mio universo fosse privo di pareti, non doveva esserci un `pavimento', non doveva avere né un sopra né un sotto, doveva essere una specie di immenso cielo infinito in cui spaziare tra entità e concetti differenti.
Lo popolai di nuvole, di nuvole particolari e magiche in cui si fondevano il blu profondo del mare, il grigio del metallo, e il rosa vivo della carne, esse si muovevano, si modificavano, si intrecciavano in forme sempre differenti e sempre stupende, erano frattali che si univano e mutuamente modificavano gli algoritmi matematici che ne erano la vita stessa, fondendosi in una danza che faceva apparire questo luogo sperduto su una microscopica piastra di silicio di un computer pulsante, vivo e quantomai reale.
Tutto ciò faceva da sfondo all'ammassarsi di forme geometriche e non, dai variopinti e a volta accecanti colori dei dati, dei programmi, dei files; i loro colori, la loro struttura, la loro forma e lo spazio che occupavano nel `cielo virtuale' venivano dall'interpretazione diretta dei loro codici e ne davano una visione che appariva sempre diversa anche su due copie dello stesso file, se non altro anche solo per le sfumature dei colori che gli erano propri.
Fui molto felice di quella scelta, mi parve particolarmente azzeccata ed esteticamente bellissima. Decisi che il passaggio alle directory adiacenti si effettuasse con un tuffo in sfere di marmo virtuale, con venature di colori impossibili, mi voltai verso la più grande di queste, le girai intorno per osservare le verdi venature della sua struttura, mentre la barra di informazioni che stava nella parte bassa del mio campo visivo la identificava con nome e dimensione; data l'enormità della sfera si intuiva che tramite essa si accedesse ad una `camera' (anche se il concetto di camera poco si addiceva a quel luogo) molto ricca di dati; mi tuffai e fu come immergersi in una bolla di plasma, fu come se quella gigantesca cellula cercasse di fagocitarmi. Mi mancò il respiro e tutto ad un tratto mi ritrovai stupito di quello che avevo creato, ero in un luogo simile al precedente e al tempo stesso profondamente diverso, adornato da miriadi di oggetti colorati che mi lasciavano allibito, nonostante tutto quello che veniva lì rappresentato fosse un frutto della mia mente e della mia fantasia.
Decisi di vedere l'albero, la struttura in cui era organizzato l'insieme di dati di Sirio, alzai lo sguardo verso l'alto, o quello che sarebbe stato l'alto nel mondo reale, e spinsi la mia essenza velocemente verso un `cielo' superiore.
Guardai, anzi ammirai la struttura irregolare dell'albero, le sfere che ne erano i nodi legate da canali di luce verde mentre il tutto mi appariva nella luminosità di una innaturale foresta.
Di più, bisognava andare oltre, oltre Sirio, oltre il net, era ora di entrare nella D-Zone (così la avevo battezzata) che era una sorta di Iperspazio del Cyberspazio.
Mi concentrai sulla grigia barra di informazione ed ecco che apparve il bianco fuso del puntatore, un tocco e si aprì un varco nel cyberspazio da cui apparve la mia finestra di controllo, un movimento sul blu notte della finestra ed eccomi istantaneamente trasportato nella D-Zone, direttamente all'interno della matrice, con le autostrade di luce che connettono tutte le macchine di Internet; digito la mia destinazione ed ecco che vengo attratto come da una strana forza gravitazionaleo; la vedo e velocemente mi avvicino a lei, mi appare di un viola vivo sullo sfondo ciano del cielo questa autostrada elettrica ed in pochi secondi sono dentro di lei, mi circondano cubi che si muovono veloci uno dietro l'altro, in fila indiana, ognuno ha i colori dell'arcobaleno datigli dal protocollo di trasmissione, ogni tanto oggetti a forma di ettagono che trasportano le informazioni agli imp sulle tabelle di routing mi sfiorano passando oltre il mio campo visivo. Mi sto guardando intorno e quasi non mi accorgo di essere arrivato a destinazione; di fronte a me un muro di ice che, come vuole la tradizione della letteratura cyberpunk è nero, nero più di una notte senza stelle, vedo i contorni rossi del cancello di accesso, sembra una scena del film `Tron', in un esagono giallo su un lato del portale lampeggia intermittente una luce verde.
Lancio verso di essa le due stelle color porpora che sono la mia identificazione e le osservo mentre si perdono nell'orifizio giallo che le divora.
`Logged On' mi dice la barra di informazione e subito il cancello mi risucchia come un buco nero. Altro attimo di brivido ed eccomi in un `cielo alto' di una macchina dell'altro emisfero, si para davanti a me un paesaggio simile a quello visto su Sirio, con le nubi mutogene, la foresta dai rami di luce verde, i pochi dati della root-directory che svolazzano qua e la. Ho come una sensazione di deja-vu ma lo spettacolo davanti ai miei occhi non lascia il tempo alla mia mente di fermarsi e fa si che in ogni dove scopra qualcosa di meraviglioso, libera da corpo, distanze, leggi e condizionamenti della società la mia mente si sente appagata; tutto questo è mio, lo ho creato io e finalmente mi sento davvero libero.
Ricreo la finestra di controllo e decido di dare l'ultimo ritocco, forse la parte più complicata del gioco della creazione, devo ricreare la mia immagine, finora ero una piramide nera che vagava nel net, ora stavo utilizzando un'applicazione per ricrearmi un corpo, un'armatura d'acciaio, splendente di luce propria, mi fa tornare alla mente i protagonisti dei cartoni animati che vedevo da bambino, tento di dare alla mia immagine una linea un po' più aggraziata, un tocco di vezzo mentre disegno il viso: lo faccio con il pizzetto, una barba di metallo su un viso di metallo, mi viene in mente un soldatino di piombo, sposto il puntatore sugli occhi e li coloro del verde del mare...
Tutto è fatto, il mio mondo è nato, io sono il Cybermaster, il Padrone, ma non ho alcuna intenzione di tenere tutta per me questa creazione, farò in modo che molti abbiano l'accesso, farò vivere a molti la stessa fantastica esperienza, e farò si che molti vivano e lavorino nel cyberspazio.
Devo stare attento, non voglio che si fugga dalla realtà per un mondo alternativo, ma sono sicuro che distaccarsi dalla assurda vita metropolitana per qualche ora e ritrovare se stessi, le prorpie speranze, le proprie fantasie, in un mondo che è solo idee e pensiero, ci renderà persone migliori e forse un po' più umane.
Finalmente GdA non mi assillerà più con le sue domande sulla mia tesi e credo che rimarrà molto affascinato dal mio lavoro, più che da una stupenda tesi, in fondo anche lui è un sognatore, credo che sarà il primo a voler accedere al Mio Universo...
P.S. Come avrete capito tutto questo è un lavoro di fantasia, ma al tempo stesso un sogno recondito della mia vita, non ho GdA come correlatore, purtroppo non sto preparando la tesi (anche se vi assicuro mi piacerebbe aver finito gli esami) e non credo che l'Università acquisterà mai un Cray.
DR-DRAKE