Il ticchettio frenetico e incessante, prodotto dalle dita di Matthew che
si spostavano rapide sulla tastiera del PC, veniva filtrato dalla porta
chiusa dello studio e giungeva attenuato alle mie orecchie. Inconsciamente
lo trovavo gradevole e mi dava sicurezza, ricordandomi che, per fortuna,
non ero solo al n. 7 di Hudson Street. Cosi' quella strana melodia, fatta
di secche percussioni ovattate, accompagnava le mie letture serali,
riempiendo cio' che sarebbe altrimenti stato un silenzio opprimente.
A volte il sottofondo aritmico si interrompeva: Matthew stava riflettendo
su qualche problema, su decisioni da prendere. Poi ricominciava a picchiare
sui tasti di plastica, ed andava avanti cosi' a lungo, senza che nulla
riuscisse a tenere ferme quelle mani per piu' di una manciata di secondi.
Non avevo idea di cosa facesse Matt nello studio. Sapevo che lavorava per
l'RBOCK regionale, ma non gli avevo mai chiesto in cosa consistesse
esattamente il suo lavoro. O meglio, una volta lo feci ma non ci capii
granche'. Si occupava dei computer della compagnia telefonica, del sistema
di sicurezza... cerco' di spiegarmi. Ricordo che alla fine scoppio' in una
fragorosa risata, ed io dietro di lui, dicendogli di lasciar perdere.
Il mondo dei computer non mi aveva mai interessato e l'unica cosa che
avevo imparato a fare, consisteva nell'accendere il PC e usare un
programma per scrivere testi.
Cinque sere fa stavo terminando un libro di Dean R. Koontz. Lo ricordo bene
ed ero talmente preso dalla lettura che lo squillo del telefono mi fece
trasalire. Sentii un brivido lungo tutto il corpo. Staccai immediatamente
la cornetta e, dall'altro capo, una voce farfuglio' qualcosa. Mi ci vollero
alcuni secondi per comprendere quello che l'ignoto interlocutore stava
cercando disperatamente di dirmi. Cercai di fargli capire che aveva
sbagliato numero, ma l'uomo continuava a ripetere che sua moglie stava
molto male e che dovevo correre immediatamente. Non ci fu verso e alla
fine mi feci dare l'indirizzo, chiamai l'ospedale e mandai un'ambulanza da
quella povera donna.
Quando riagganciai mi resi conto che tremavo un po'. La situazione in cui
ero stato coinvolto mi aveva agitato ancor piu' del romanzo di Koontz e le
voci che avevo appena ascoltato, risuonavano ancora nella mia testa. Il
vecchio Isaia se ne era rimasto tutto il tempo accoccolato accanto al
termosifone. Restai immobile per un po' a fissarlo, poi finalmente
recuperai la calma.
Fu allora che udii un nuovo rumore proveniente dallo studio.
Tanti "beep" consecutivi, ad intervalli pressoche' inesistenti... Anche
quel suono lo conoscevo bene, avendolo provocato io stesso molte volte,
durante i miei inutili approcci con l'informatica. Matt mi aveva spiegato
che puo' capitare in alcuni programmi, quando si mantiene premuto per
lungo tempo un tasto. Allora si carica qualcosa e momentaneamente non e
piu' possibile utilizzare la tastiera. Puo' capitare agli inesperti ma
era strano che potesse essere succeso a lui. Forse mi stavo sbagliando
ma il suono continuava, monotono e fastidiosissimo, e allora decisi di
sincerarmi che tutto andasse bene. Bussai per annunciarmi.
Due piccoli colpi con le nocche e dischiusi la porta, senza attendere
l'invito, come facevo sempre. Chiamai Matthew ma non rispose, allora
entrai. La pallida luce azzurra della lampada da tavolo rischiarava
la stanza. Guardai in direzione della scrivania e lo vidi, seduto sulla
poltroncina girevole, col busto riverso sul tavolo ed il capo, adagiato su
un lato, proprio sotto lo schermo del computer. Sembrava una posizione del
tutto naturale e, se non fosse stato per la tastiera, schiacciata dal suo
corpo, che provocava quell'insistente segnale d'allarme, avrei pensato che
stesse dormendo.
Mi diressi verso di lui.
Rimasi senza fiato, poi gridai.
Un rivolo rosso colava dalla fronte di Matt. Il sangue ne solcava le tempie,
gocciolando sul tavolo e sulla tastiera, negli interstizi tra un pulsante
e l'altro. Matt non riuscii a guardarlo. Gli schizzi di sangue decoravano
macabramente la plastica bianca del computer. Sul monitor c'erano delle
scritte per me incomprensibili e, alla fine, tanti '8', uno dopo l'altro.
Con gli occhi cercai subito nelle vicinanze, per terra, sulla scrivania...
nessuna arma da fuoco. Poi vidi la finestra aperta, proprio di fronte a lui.
Matthew era stato assassinato.
La polizia arrivo' presto.
Mi fecero delle domande, ma di quei momenti ho un ricordo molto confuso...
In seguito il corpo di Matt fu portato via e cosi' rinvennero la pistola.
Era sul tavolo, sotto di lui. Per questo non l'avevo notata. C'era attaccato
un silenziatore.
Gli agenti restarono in casa per un paio d'ore, rivoltandola da capo a piedi.
Sentivo il rumore dei loro passi dappertutto, e ogni tanto la voce di
qualcuno che chiamava un suo collega. Due di loro ronzavano attorno al
computer nello studio, scattando foto a tutti quegli '8' stampati sul
monitor e prelevando buona parte del materiale sparso sul tavolo. Ci
armeggiarono per un bel po'.
Un poliziotto continuava a chiedermi se avevo toccato qualcosa, se avevo
udito degli spari. Io raccontai cosa era successo quella sera almeno due
volte li' a casa e altre due alla centrale, dove fui trattenuto a lungo
dal comissario di polizia. Raccontai della telefonata che avevo ricevuto,
dell'uomo agitatissimo con cui avevo parlato, gli dissi l'indirizzo che mi
aveva dato. Stavano sospettando di me e compresi che purtroppo la strana
vicenda della signora malata non poteva rappresentare un alibi. Quando
chiesero conferma all'ospedale, seppi anche che l'ambulanza che avevo
mandato se ne era tornata a casa a sirena spenta e vuota.
Uno scherzo ?
Avevo tantissima paura di essere accusato di omicidio, dell'omicidio di
un amico. Furono dei momenti terribili.
Il commissario tento' di farmi rivelare con ogni mezzo cio' che non
sapevo, fino a quando non arrivarono i risultati dalla scientifica. Sulla
pistola erano state trovate le impronte di Matt e quindi conclusero che
si era suicidato. Ancora tante domande sulla vita privata di Matt, sui
suoi amici, sui suoi nemici, sul suo lavoro, su come aveva trascorso
le ultime giornate... Alla fine mi lasciarono andare, chiedendomi di
rendermi reperibile nei giorni seguenti.
Quando tornai a casa mi misi subito a letto, ma la notte non riuscii a
prendere sonno. Mi tormentava l'idea che Matt in realta' fosse stato
ucciso da qualcuno e ne sono ancora fortemente convinto. Non ci
conoscevamo bene, dato che era venuto ad abitare qui soltanto da poco
piu' di un anno, eppure mi aveva sempre dato l'impressione di un ragazzo
a posto.
La mattina dopo non andai a lavoro e cercai di rimettere un po' in ordine
lo studio. Con uno straccio umido cancellai le macchie di sangue coagulato
sulla scrivania e sul computer. Non riuscivo ancora a credere che potesse
essere successa una disgrazia del genere.
Verso mezzogiorno passarono due agenti che erano stati qui la sera prima,
mi riconsegnarono dei dischetti e un pezzo del PC. Mi spiegarono che
avevano esaminato il contenuto dell'hard disk e quello che sembrava utile
per le indagini lo avevano copiato nei loro archivi.
Rimontarono tutto e se ne andarono.
Povero Matt... una volta mi disse che gli ci erano voluti due anni per
acquistare tutta l'attrezzatura che ora era li', a casa mia. Decisi che
avrei dovuto cominciare a capirci qualcosa, un po' per tenerne vivo il
ricordo, almeno fin quando qualche familiare non sarebbe passato a
reclamare cio' che gli era giustamente dovuto. E cosi', dopo aver appreso
il minimo indispensabile dai manuali, oggi ho deciso di cominciare ad
usare il computer di Matthew per scrivere i miei diari.
Adesso mi trovo nello studio, rischiarato appena dalla luce artificiale, e
sono seduto dove fino ad alcuni giorni prima sedeva lui. Fa caldo, la
finestra e aperta... Ogni volta che entro in questa stanza, di sera, rivivo
quei tragici momenti e tremo al pensiero che forse avrei potuto salvarlo.
Continua a non sembrarmi vero che quel povero ragazzo si sia potuto
suicidare. Non riesco proprio a togliermi questo pensiero dalla testa.
Dio, se fosse un film sarebbe tutto piu' credibile ! Forse poteva aver
scoperto qualche brutto imbroglio nella sua compagnia. D'altro canto il
lavoro che svolgeva li', credo che gli permettesse di accedere ad ogni
tipo di informazione privata e se si era accorto di qualche attivita'
pericolosamente illegale...
Non so...
Ormai la polizia dovrebbe stare per arrivare.
Oggi con l'editor di testi ho erroneamente cercato di leggere un file
con l'estensione dei programmi eseguibili e credo di aver trovx9qwp
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raccolto da Paolo Di Tonno